A metà giugno, sembrava che il progetto di un’unica Doc per tutto il Friuli Venezia Giulia (un progetto di cui si parla da almeno vent'anni, forse più) fosse prossimo a diventare realtà. Almeno, questa era la sensazione, stando alle dichiarazioni ottimistiche di qualche presidente dei Consorzi (sette, dopo la fusione tra Colli Orientali e Ramandolo e quella tra Collio e Carso) di quello che un tempo si chiamava “vigneto Friuli”. Ma alla resa dei conti – ovvero al momento della presentazione del disciplinare – l'accordo è saltato. A mettersi “di traverso” è stato il Consorzio Collio (o Collio e Carso, per usare la nuova denominazione): l'assemblea dei soci ha bocciato il progetto con 22 voti contrari, 1 a favore, 2 astenuti e 3 a favore di una soluzione “diplomatica” di revisione del disciplinare.
Una revisione che non sembra facile, viste le differenze tra il disciplinare approvato dagli altri Consorzi e le posizioni del Collio Carso: a cominciare dalle varietà previste dal disciplinare, 16 vitigni, mentre il Collio vorrebbe “unificare” solo le 9 varietà internazionali lasciando alle singole denominazioni attuali le varietà autoctono; alla resa (fino a 180 quintali/ettaro nelle annate migliori, 140 al massimo per il Collio); ma soprattutto in Collio non vogliono la “liberalizzazione” dei contenitori prevista dal disciplinare, bag in box compreso. Diventa quasi secondario, a questo punto, il problema del nome: Doc Friuli (più breve e facile) o Doc Friuli Venezia Giulia (soluzione che accontenterebbe Collio e Carso).
Per Pierluigi Comelli (Consorzio Friuli Colli Orientali e Ramandolo), la strada è obbligata: andare avanti anche senza il Collio. Una posizione che trova il consenso pressoché unanime delle altre Doc e che il battagliero presidente sta portando avanti con decisione, affrontando anche qualche “mugugno” come la lettera sottoscritta da alcune aziende socie dei Colli Orientali, che condividono in qualche misura i “mali di pancia” di Collio e Carso.