Bandiera italiana nel mondo, dopo qualche anno di oblio torna alla ribalta rivelandosi piacevole e apprezzato soprattutto dall’universo femminile - È l’unico vitigno a bacca bianca in aumento nelle scelte d’impianto in tutti i Paesi viticoli - E cresce la sua presenza anche in Sicilia
Ha reputazione di essere un apripista commerciale negli Stati Uniti, dove è considerato la bandiera dell’Italia quando si parla di vini bianchi fermi. Per quali ragioni e con quali prospettive possiamo oggi raccontare il Pinot grigio? I pareri sembrano unanimi: abbiamo a che fare con un intramontabile in cui oggi sono in molti a credere. Ma per costruire un’immagine tanto importante in uno dei mercati più critici e a basso tasso di fidelizzazione come quello americano, creando uno stile italiano ben distinto da quello francese o tedesco, cosa è servito?
Il primo impulso è nato dalla sfida di Gaetano Marzotto, nonno dell’attuale presidente del gruppo di Fossalta di Portogruaro (Venezia), che nel 1960 ebbe l’idea innovativa e la caparbietà di vinificare in bianco uve ramate e di contrapporre all’allora moda dominante dei vini “legnosi” negli Stati Uniti un nuovo bianco che spiccava per note floreali discrete, mineralità e freschezza. Un successo aziendale di proporzioni sorprendenti grazie anche alle campagne di comunicazione massicce e ironiche, che ha avuto la forza di trainare i Pinot grigi italiani e anche quelli di altri Paesi e che Elena Rocco, del dipartimento di Economia e direzione aziendale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia non ha esitato a definire “un modello competitivo tra il Gruppo Vinicolo Santa Margherita e le aziende conferitrici di uve dal Trentino-Alto Adige che ha creato una filiera di fiducia”.
Il bilancio “commerciale” dà ragione all’investimento effettuato cinquant’anni fa: «Il nostro gruppo commercializza 7 milioni di bottiglie di Pinot grigio, all’estero crescono le rotazioni di prodotto, in particolare i mercati asiatici si stanno avvicinando», ci hanno detto dall’ufficio marketing del Gruppo Vinicolo Santa Margherita. E dopo il lancio-novità a Vinitaly di 3 mila Magnum di Pinot grigio Metodo Classico l’azienda punta alle 15 mila bottiglie per settembre 2012.
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Molto piacevole. In una parola, vincente
Quali le ragioni del successo del Pinot grigio italiano? Robert Joseph, editore di Meininger’s Wine Business International, sintetizza: «È un vino distribuito su larga scala, facile da comprendere e bere anche senza cibo». Dello stesso avviso Gaetano Marzotto, attuale presidente del Gruppo Vinicolo Santa Margherita: «È il più amato dalle donne, fresco e delicato».
Ma, vale la pena dirlo, il Pinot grigio non ha queste caratteristiche in tutto il mondo. Roberto Zironi, del dipartimento di Scienze degli alimenti dell’Università di Udine, ci fa capire che tempo fa quando si parlava di Pinot grigio la mente balzava subito all’importante ramato e grasso Pinot gris alsaziano ottenuto da una vinificazione a contatto con le bucce o ai Ruländer tedeschi secchi, amabili o addirittura dolci o agli ungheresi Szürkebarát. Un universo dagli orizzonti produttivi, gustativi e commerciali ben diversi rispetto a quelli impostati nel nostro Paese. «Oggi l’Italia, con alla testa le regioni del Nord, è il più grande produttore di Pinot grigio», ha detto Zironi. «La stragrande maggioranza dei vini sono leggeri, secchi, fragranti e adatti al consumo da pasto. Questo stile, antitetico rispetto a quello francese, anche se popolare tra i consumatori soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, viene spesso considerato con sufficienza da molti viticoltori del Nuovo Mondo, salvo poi imitarlo per cercare di entrare nei mercati occupati dal prodotto italiano».
Che il Pinot grigio stia vivendo negli ultimi anni un trend positivo lo conferma anche la sua forte richiesta: «È stato l’unico vitigno a bacca bianca in controtendenza nelle scelte d’impianto in tutti i Paesi viticoli del mondo», ha detto Attilio Scienza, presidente del corso di laurea in Viticoltura ed enologia dell’Università di Milano. «Rappresenta circa il 3% dell’intera produzione vivaistica ed è ai primi posti tra le varietà bianche con circa il 15% del totale di barbatelle vendute». L’agronomo Ermanno Murari dei Vivai Cooperativi Rauscedo conferma: «In Italia dal 1970 al 2010 la superficie coltivata è passata da 969 a 15.484 ettari, quanto alle vendite di varietà clonali si è arrivati da circa 2 milioni nel 2005 a 2,6 milioni nel 2009; nel 2011, invece, sono state 600 mila. All’estero il fenomeno è stato molto più contenuto: da quota 300 mila si è giunti a circa 600 mila tra il 2009 e il 2010-11».
«Negli Stati Uniti il Pinot grigio è coltivato soprattutto in California (circa l’80 % del totale), seguito a forte distanza dallo Stato di Washington con il 10% e dall’Oregon con il 5%: dopo il boom degli impianti a cavallo degli anni 1995-97 si assiste ora a un atteggiamento più riflessivo nei confronti di questa varietà», ha precisato Attilio Scienza. «Fra gli altri Paesi che in questi ultimi anni hanno intensificato gli impianti di Pinot grigio, stimolati dalla buona remunerazione delle uve, ricordo alcuni Stati dell’Europa centrale, come Ungheria, Slovenia, Croazia, Moldova, Romania e Moravia (Repubblica Ceca) che nel 2010 hanno acquistato da Vivai Cooperativi Rauscedo complessivamente circa 500 mila barbatelle, mentre rimane limitato l’interesse in Argentina e Cile, dove gli impianti non hanno mai superato il livello sperimentale».
Si può scegliere tra 28 cloni diversi
Introdotto nell’attuale Trentino-Alto Adige da Edmund Mach nel 1871, il Pinot grigio, denominato anche Borgogna grigio, è di origine francese e si può considerare una mutazione genetica del Pinot nero. «È un vitigno molto reattivo all’ambiente pedoclimatico e ha un punto debole nella sua suscettibilità alla Botrytis», ha detto Roberto Zironi. «In Italia le posizioni ideali per la coltivazione sono il fondovalle o la bassa collina L’elevata escursione termica giorno/notte permette l’accumulo di precursori aromatici».
È inoltre importante prediligere condizioni idriche regolari e terreni sciolti per evitare accumuli di potassio con cadute di acidità tartarica e Ph troppo elevati. «Per mantenere un buon livello di aromi, vanno preferiti quegli ambienti dove durante la maturazione dell’uva lo scarto termico tra giorno e notte è alto, come il fondovalle della piana dell’Adige o le colline medio-alte», ha spiegato Attilio Scienza. «Nel primo caso non va trascurato il particolare microclima della zona dei grappoli favorito dalla pergola, in quanto protegge i grappoli da un eccesso di radiazione sia termica che ossidativa, ma esige peraltro un grande equilibrio vegeto-produttivo per evitare che un eccesso di azoto possa favorire l’insorgenza di marciumi. Nel caso di altitudini medio-elevate (come in Alto Adige) risulta favorevole la spalliera attraverso l’attenta gestione della parete fogliare e l’opportuna esposizione». Oggi sono disponibili 28 cloni per la propagazione in Italia: le preferenze vanno a quelli a grappolo spargolo e con meno antociani. Per ridurre i rischi di marciume legati alla compattezza del grappolo ferve l’attività di ricerca. «L’obiettivo di alcuni dei più rinomati costitutari europei rimane l’individuazione di ceppi singoli con grappoli meno compatti», ci conferma Günther Pertoll, responsabile zonazione del Centro di sperimentazione agraria e forestale di Laimburg. Il Centro di viticoltura statale di Freiburg in Germania è sicuramente tra i più attivi con l’individuazione di otto presunti cloni nuovi. Altri cloni sono stati omologati dall’Istituto agrario - Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e l’Ersa Fvg nel Friuli.
L’obiettivo del progetto è quello di esaminare il comportamento e la sensibilità verso i marciumi di questi nuovi biotipi, confrontandoli con cloni conosciuti nella nostra area viticola. I cloni più usati sono in genere SMA505 e SMA514. Tra i consigli forniti da Roberto Zironi per la vinificazione evidenziamo la selezione dei grappoli in fase di vendemmia e, prima della pressatura, l’eliminazione del raspo, dove si tendono ad accumulare i fitofarmaci. La vinificazione delle uve rosate avviene in bianco ma può svolgersi anche a contatto con le bucce e in questo caso il vino assume un colore ramato.
Quanto alla vinificazione, le tecniche variano a seconda del luogo di produzione e del tipo di vino: si va dall’iperossigenazione, che permette di avere vini molto fruttati e gradevoli nei loro primi mesi di vita, alla criomacerazione, che consente una maggiore concentrazione di polifenoli. «La macerazione a freddo richiede attenzione per via della presenza seppur limitata di antociani», ci dice Zironi. «Requisito fondamentale è il perfetto stato sanitario delle uve per lavorare senza l’impiego di anidride solforosa, che incrementerebbe l’estrazione del colore».
Veneto, Friuli e Trentino: i maggiori produttori
In Italia capofila della produzione di Pinot grigio è il Veneto con 7.060 ettari vitati (nel 2006 erano 5.501): in particolare, in base allo schedario viticolo della Regione Veneto - Avepa, le province leader risultano Treviso con 2.768 ettari e Verona con 2.017 ettari. A livello regionale seguono il Friuli Venezia Giulia con oltre 4.800 ettari, il Trentino con 2.300, l’Oltrepò Pavese con 900 e l’Alto Adige con circa 600 ettari, dove il Pinot grigio rappresenta il primo vitigno a bacca bianca. La Sicilia si sta rapidamente avvicinando ai 1.000 ettari.
E l’interesse per le performance in zone vocate cresce. La più recente testimonianza ci giunge dal CraVit di Conegliano di Valdobbiadene che ha concluso uno studio di zonazione per il Consorzio tutela Vini del Piave Doc patrocinato da Veneto Agricoltura - Regione Veneto sulla Doc Piave tra il 2007 e il 2010 e che sarà presentato verso la fine del 2011. «La ricerca ha messo in luce ottimi risultati del Pinot grigio che si ottengono solo pianificando il vigneto in funzione della tipologia di suolo e della fascia climatica», ci anticipa Diego Tomasi del CraVit. «Si ottengono ottimi vini in vigneti fitti a cordone speronato e Guyot su suoli ghiaiosi o vigneti allevati anche a Sylvoz sui suoli più pesanti. Buoni i livelli riscontrati nel caso di vigneti a Gdc con impianto di irrigazione; abbiamo riscontrato inoltre vini di struttura decisa sulle argille delle aree meno piovose e calde della zona».
L’italiano è un’icona ma occhio al Nuovo Mondo
Il Pinot grigio italiano ha un tratto distintivo, fresco e floreale; piace come aperitivo ma sposa anche antipasti, pesce e carni bianche. Si apprezza al meglio di annata. Una sorta di jolly che ha conquistato gli americani. Ma qual è il suo domani? «Il futuro del Pinot grigio sembra saldo, ma quello italiano deve confrontarsi con produttori che hanno fiutato il business», ha detto Robert Joseph. «Le vendite negli Usa sono aumentate del 20% l’anno e oggi rappresenta il vino in più rapida crescita nel Regno Unito, ma si stima che oltre la metà del Pinot grigio venduto negli Stati Uniti provenga da fuori Italia». Lo conferma anche Emilio Pedron, oggi consigliere del Gruppo Italiano Vini e presidente del Consorzio tutela Vini Valpolicella: «Rispetto a 10 anni fa, quando il Pinot grigio importato negli Usa era tutto italiano, oggi solo il 44% di questo proviene dal nostro Paese. Abbiamo perso un treno». Il riferimento va alle vendite di Pinot grigio sul mercato secondo i dati Nielsen Usa Food and Liquor riferiti all’anno terminante a maggio 2011. «Oggi l’Italia commercializza Pinot grigio per una quota a volume di 338,9 milioni di dollari (+4% sull’anno precedente), ma gli Usa hanno raggiunto i 258,2 milioni di dollari con un incremento del +12% sull’anno precedente», commenta Susy Pozzi, marketing director del Gruppo Italiano Vini.
Quanto al gradimento, Scienza rassicura: «Nonostante i tentativi di produrre vini di Pinot grigio in diversi Paesi fuori dall’Italia – spesso utilizzando la leva del prezzo, le tipologie e la qualità di quelli ottenuti da noi – i nostri Pinot grigi sono apparsi i più graditi dal consumatore americano e anglosassone».
«Gli americani amano i loro profumi floreali, il loro carattere vivace e discreto, la leggera vena di freschezza, la mineralità non invadente e soprattutto l’assenza del passaggio in legno. I nostri Pinot grigio si possono insomma considerare un’evoluzione ben riuscita, confermata nel tempo dal consumatore», dice Giuseppe Martelli, direttore di Assoenologi. A suo avviso da circa quattro anni il Pinot grigio registra una sostanziale stabilità nelle vendite e aggiunge: «Gli investimenti effettuati dai produttori americani nella Central Valley mi portano però a ipotizzare che avrà buone performance nel tempo».
«Dopo il successo che questa varietà ha riscontrato tra il 1999 e il 2005-06 il Pinot grigio sta registrando una sostanziale stabilità», conferma Diego Tomasi. «Ma anche se la remunerazione delle uve si è assestata, ciò ha permesso investimenti e un rinnovo degli impianti perché è un vitigno che dà fiducia».
Secondo Leonardo Lo Cascio, AD di Winebow, negli Stati Uniti e in Canada il trend del Pinot grigio è in costante ascesa: «In questi Paesi il consumatore in genere comprava Chardonnay barricati o Sauvignon. Il Pinot grigio italiano è riuscito a conquistare lo spazio – non ancora presidiato – dei bianchi freschi», ci ha detto. «Non parlerei di una moda, ma di un bisogno che viene premiato dalle vendite. Tant’è che oggi su cinque bottiglie di Chardonnay una è rigorosamente Pinot grigio… il che non è poco».
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