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Prospettive per la viticoltura italiana. Se ne è parlato alle Cantine Bolla

19 Luglio 2011 Monica Sommacampagna
Quali prospettive per la viticoltura italiana di qualità? Se ne è parlato sabato scorso nell’ambito di un seminario organizzato dalle Cantine storiche Bolla di Pedemonte (Verona) in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano che ha fatto il punto su tematiche oggi di grande attualità: dalla mondializzazione dei mercati che hanno portato alla proliferazione di vino “commodity” legato alle multinazionali, ai vini di territorio, alla sostenibilità. Il taglio, come ha ricordato l’enologo del Gruppo Italiano Vini Christian Scrinzi, è stato molto concreto e di marketing perché «vanno impostati progetti a medio-lungo termine coerenti con gli specifici obiettivi enologici». Se la minaccia sono i vini nella fascia “premium”, come devono comportarsi i piccoli produttori? «Non perdere la sana abitudine di realizzare prodotti di nicchia o di terroir, puntare sull’identità (che non è imitabile) e sulla ricerca di finezza e nobiltà», ha detto Attilio Scienza, della facoltà di Enologia dell’Università di Milano, tracciando un ampio quadro storico. «Per i prossimi anni la parola d’ordine sarà dare origine all’originalità, il viticoltore dovrà essere uno “stilista” che fa vini su misura». Tre le figure chiave: il viticoltore artista, che segue le “partiture” di clima e vitigno senza virtuosismi, il compositore, alla ricerca di nuovi stimoli dal territorio, e il virtuoso d’orchestra, che realizza prodotti molto particolari. L’obiettivo è entusiasmare le nuove generazioni di “nativi del web” che, secondo Scienza, rappresentano i consumatori su cui investire. «In Italia abbiamo perso il “treno del vitigno”», ha detto Emilio Pedron, presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella. «I nostri territori esprimono un marchio collettivo o un marchio di produttore che potranno svilupparsi solo se c’è lealtà da parte di chi opera nel territorio. Non dimentichiamo che oggi il consumatore vuole la qualità vera e distintiva e chiede a un vino di sintetizzare il valore fuori dalla bottiglia, ovvero legato al rispetto dell’ambiente e del paesaggio, sta crescendo una coscienza etica». La sostenibilità è stata la parola chiave degli interventi successivi: da Paolo Balsari, dell’Università di Torino, che ha evidenziato le nuove direttive europee sulla distribuzione di agrofarmaci, a Ettore Capri, dell’Università Cattolica di Piacenza, che ha declinato la parola “sostenibilità” in alcune applicazioni pratiche. In questo senso un ruolo fondamentale lo esercita la viticoltura di precisione che, come ha sottolineato Luca Toninato, presidente di Ager di Milano, «consente, integrando gli studi di zonazione, l’applicazione mirata di tecniche e irrigazione e il monitoraggio, tramite sensori multispettrali e algoritmi matematici, dello stato vegetativo del vigneto e di verificare produttività e qualità». Ulteriori contributi tecnici sono stati forniti dall’agronomo Enzo Corazzina, da Marco Simonit per i Preparatori d’uva e da Andrea Lonardi, coordinatore vinicolo del Gruppo Italiano Vini, che ha puntato l’accento sul territorio: «Il futuro della viticoltura italiana sarà legato all’individuazione di prodotti legati a specifiche zone e a varietà e quindi, oltre a un approccio dinamico-gestionale, alla definizione di disciplinari di produzione sostenibili, alla formazione del personale e alla riduzione dell’uso dei prodotti di sintesi».

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