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Speciale Friuli Venezia Giulia: Il Friulano. Vino da favola

14 Aprile 2011 Civiltà del bere
“C’era una volta il Tocai...” “Che cos’è il Tocai?” “Un vino...tipicamente Friulano!” [emember_protected] Dopo le tragedie in due battute di Achille Campanile, ecco una fiaba in tre battute. E, a ben guardare, i requisiti fondamentali della favola ci sono: la principessa (vabbè, ci accontentiamo di una contessina, Aurora Formentini da San Floriano del Collio, che andando sposa in Ungheria al conte Batthyány porta in dote “trecento vitti di Tocai”); e il lieto fine (la campagna promozionale a sostegno del Friulano che, con il contributo del ministero delle Politiche agricole è stata avviata dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia per il tramite dell’Ersa, l’ Agenzia regionale per lo sviluppo rurale). Come in molte favole, difficile distinguere dove finisce la realtà e comincia la fantasia. Proviamo a raccontarla comunque, con l’inizio consueto: “C’era una volta il Tocai, anzi: il Tocai friulano...”. Tocai friulano era, fino a pochissimi anni fa, la denominazione del vitigno e del vino ottenuto dalle uve del medesimo, coltivato nel cosiddetto vigneto Friuli (per la precisione, in sette zone Doc: Colli Orientali del Friuli, Collio, Friuli Annia, Friuli Aquileia, Friuli Grave, Friuli Isonzo, Friuli Latisana). Un vitigno considerato autoctono, un’ipotesi rafforzata da una storia complessa, che sconfina nella leggenda. Secondo un’interpretazione piuttosto diffusa sembra che il vitigno Tocai friulano sia stato trasportato dal Friuli all’Ungheria sotto il regno di Béla IV; altre fonti bibliografiche attribuiscono allo stesso re la richiesta di far venire dall’Italia e dalla Francia alcuni esperti per produrre il Furmint, ovvero il vitigno usato in maggior percentuale per produrre il Tokaji ungherese. Più recente (datata 1623) la storia della contessina Aurora... Nuovi studi, tuttavia, sembrano dimostrare che l’origine del Tocai friulano sia in realtà diversa. Negli anni Settanta iniziò infatti a Conegliano un programma di selezione clonale del Tocai friulano che mise in rilievo alcune somiglianze con il vitigno Sauvignon. L’analisi del Dna, in seguito, rivelò che il vitigno Tocai friulano altri non era che il Sauvignonasse, presente nei vigneti del Bordolese, oggi quasi scomparso in quella zona della Francia, e arrivato in Friuli, probabilmente assieme al Sauvignon, nel periodo in cui, a metà dell’Ottocento, si cominciarono a coltivare i vitigni francesi nei vigneti friulani. Quest’ultima ipotesi confermerebbe la completa autonomia dei due vitigni, Il Tocai friulano e il Furmint: di origine francese il primo, il secondo coltivato da sempre nella regione ungherese che ha dato il nome al vino Tokaji. Due vitigni distinti, due vini, diversi nella grafia (Tocai e Tokaji, anche se la pronuncia è simile) e differenti per caratteristiche: secco, fruttato, con spiccato sapore di mandorla il Tocai friulano; quello ungherese, famoso per la sua versione dolce, anzi dolcissima, di colore ambrato, con circa 15 gradi di alcol e una altissima concentrazione di zuccheri residui. Quella del Tocai è comunque una bella storia, e tutti vorrebbero averne l’esclusiva. Così, in sede di definizione degli accordi per il suo ingresso nella Comunità Europea, l’Ungheria rivendica il nome, appoggiando la richiesta con la tutela che le norme comunitarie riservano alle denominazioni geografiche. Si arriva così al 1993: la Comunità Europea, dopo aver mediato un accordo tra Italia e Ungheria, vieta l’utilizzo della dicitura Tocai per il vino friulano a partire dal marzo del 2007, in quanto giudicato troppo simile all’omologo Doc ungherese Tokaji. Stessa sorte (par condicio comunitaria) viene riservata a un altro vino, Tokay d’ Alsace, che nel giro di pochi anni cambierà pelle diventando Pinot gris d’Alsace. Il Friuli Venezia Giulia non imbocca subito la strada del nuovo nome e tenta di resistere, mentre inizia la caccia al “sostituto”. Un tormentone che, tra proposte serie e non, vede da subito in pole position il Friulano. Che vuol dire, in buona sostanza, mantenere una metà (quella più tipica) del vecchio nome, Tocai friulano. Tra ricorsi e controricorsi, passano – da quel 1993 – 15 anni. Nel gennaio 2008 la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia intenta l’ennesimo ricorso per annullare la sentenza; ma il 15 novembre dello stesso anno la Corte Costituzionale giudica incostituzionale la legge regionale 24/2007 del Friuli Venezia Giulia che stabiliva la possibilità di utilizzare il nome Tocai per la vendita sul territorio italiano. La fiaba del Tocai diventa così cronaca di una nuova denominazione per un vino (e un vitigno) che ha una storia ben radicata nel territorio del Friuli Venezia Giulia, ma non solo: anche nelle preferenze (verrebbe da dire negli affetti) dei consumatori, friulani e non. Dalla vendemmia 2008 si utilizza il nome Friulano, una scelta appoggiata dal ministero delle Politiche agricole e dalla Regione Friuli Venezia Giulia che si sono mossi concretamente stanziando un fondo per la promozione della nuova denominazione. L’obiettivo è quello di informare i consumatori italiani e stranieri che il vecchio Tocai non è scomparso, ma ha solamente cambiato nome. Il suo gusto, la qualità e la relazione con il territorio rimangono quelli di un tempo, quelli eccellenti di sempre, custoditi sotto la nuova denominazione di Friulano. Ciò che si auspica è un aumento della commercializzazione del Friulano, contestualmente a una crescita vitivinicola di pregio estesa a tutta l’area di produzione. Il marchio Tipicamente Friulano: non solo vino... “Trasformare le minacce in opportunità”: le affermazioni dei guru del marketing, come spesso accade, affondano le radici nel buon senso, quello dei proverbi popolari: non piangere sul latte versato, aiutati che il ciel ti aiuta.... Quella del cambio del nome, per il Tocai friulano, era una minaccia. Si è avverata, è inutile (e dannoso) trasformarla in disgrazia: meglio ricavarne un’opportunità di promozione non solo del vino denominato Friulano, non solo del vino prodotto in Friuli Venezia Giulia (che per brevità può essere sintetizzato con “vino friulano”) ma di tutto l’agroalimentare di eccellenza del territorio. La registrazione del marchio Tipicamente Friulano, da parte della Direzione centrale delle risorse agricole, naturali e forestali della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, si inserisce nella campagna promozionale della nuova denominazione che la stessa Direzione ha messo a punto con il sostegno del ministero delle Politiche agricole e che ha individuato nell’Ersa, l’ Agenzia regionale per lo sviluppo rurale, il suo ente attuatore. Tipicamente Friulano è un marchio che identifica un prodotto, il vino Friulano appunto, le cui fasi di produzione si svolgono tutte e per intero all’interno dei confini regionali. A partire dalle barbatelle di Rauscedo (una frazione del comune di San Giorgio della Richinvelda che conta 3 mila anime, ma che è riconosciuta come la capitale mondiale per la produzione e l’esportazione di barbatelle, ovvero di piante di vite derivanti dall’innesto di vite americana con la vite europea), ogni segmento produttivo, dalla coltivazione in vigneto alla raccolta e vinificazione delle uve, come anche il soggiorno delle bottiglie di Friulano in cantina, si compie in Friuli, in una sorta di declinazione regionale della legge nazionale a tutela del made in Italy. Ma Tipicamente Friulano è anche il marchio che, nella strategia di comunicazione regionale, può garantire la tipicità di altre specialità del territorio, di altre eccellenze enogastronomiche. Per fare solo due esempi, dal prosciutto di San Daniele – il prodotto simbolo della zona, già tutelato dalla Dop europea – alla trota friulana, che non ha (verrebbe da dire non ha ancora) marchi di tutela, ma che ha un ruolo di primo piano nell’offerta complessiva del Friuli Venezia Giulia agroalimentare: le trote prodotte in regione rappresentano il 40% dell’intera produzione nazionale e si collocano al top per la qualità nel contesto europeo. Come abbinare il Friulano: prosciutto di San Daniele e trota sono due prelibatezze ideali con il il Friulano. Ma è più facile dire a che cosa non abbinare il Friulano: un vino che viene consumato spesso come aperitivo (i locali lo chiamano tajut), accompagnato a qualsiasi rompidigiuno: crostini con salame, il pezzetti di Montasio, polpette, sardelle impanate e fritte e le tradizionali uova sode delle frasche. La scheda del sommelier dice vino aperitivo e da antipasti magri e all’italiana, minestre in brodo e asciutte, piatti di pesce salsati. Ma se per minestre asciutte intendiamo primi asciutti ecco che il Friulano ha ottime chance per stare a tavola sempre. E se ai pesci salsati aggiungiamo anche che è gustoso con crostacei e molluschi? Il sommelier non trova nulla da obiettare. Lo stesso dicasi per le portate a base di uova, con in prima linea le frittate alle erbe spontanee tipiche della primavera friulana; e parlando di primavera, come non abbinarlo agli asparagi bianchi? Sarebbe più facile, dicevamo, andare per esclusione. Escluderemmo cioccolata e carni rosse (queste ultime non in modo tassativo) e poco altro. Un raffinato gourmet del secolo scorso, il medico Valerio Rossitti, consigliava il Tocai friulano (ai suoi tempi si chiamava così) anche con la gubana, il tradizionale dolce delle valli del Natisone. E visto che con il dessert siamo arrivati alla gastronomia locale, senz’altro da raccomandare l’accoppiata con il frico, morbido (è una gustosa torta salata di formaggio Montasio, patata e cipolla), o croccante (solo formaggio, grattugiato e cotto fino a diventare una deliziosa cialda friabile); con la minestra di orzo e fagioli; con i cjalcions, tortelli di Carnia ripieni di erbe e spezie caratterizzati da note dolci di uvetta o altro.

Intervista a Claudio Violino,  Assessore regionale alle Risorse rurali, agroalimentari e forestali: Vitigni storici molto d’appeal

- Assessore Violino, il Friulano (inteso come nuovo nome del Tocai friulano) ha debuttato al Vinitaly del 2010. A distanza di un anno, come giudica l’operazione “cambio di nome”? «Direi che il nuovo nome sta iniziando a fare presa sui consumatori. Purtroppo non è stata una scelta quella del “cambio”, avremmo volentieri continuato a chiamare il vino Tocai. Questo, comunque, ci ha dato la possibilità di investire su questo nuovo nome e fare in modo che il vino facesse da traino per la promozione dell’agroalimentare regionale. Oltretutto quest’anno è anche l’anniversario del Tipicamente Friulano, che ha esordito a Vinitaly l’anno scorso. A distanza di un anno non possiamo che ritenerci soddisfatti dei risultati che abbiamo ottenuto». - Quale evoluzione per il “vigneto Friuli” nei prossimi 10 anni, anche alla luce della seconda novità del 2010, la Doc Prosecco interregionale? «Fare previsioni così a lungo termine è difficile. Quello che si può fare però è un bilancio di quello che è successo in quest’ultimo anno. L’ accordo interregionale per la Doc Prosecco mi sembra importante e significativo. Lo scorso aprile, proprio in occasione del Vinitaly, è stato firmato con Luca Zaia (allora ministro delle Politiche agricole) un’intesa per la creazione della Doc interregionale Prosecco, dando così risalto a un territorio – quello di Prosecco, nel Carso – che detiene il nome di uno dei vini più noti al mondo. Questo protocollo che lega un prodotto a un termine geografico, non solo tutela una zona, come quella carsolina, ma anche le aree produttive del vicino Veneto: e a caduta i vantaggi saranno sensibili anche per i produttori friulani di Prosecco». - Friuli Venezia Giulia, terra di vitigni autoctoni. Sono “vini della memoria” o intendete valorizzarli sotto il profilo commerciale? «Le ricerche genetiche che abbiamo effettuato in un’attiva collaborazione tra Università ed Ersa ci hanno dimostrato che esistono diverse varietà autoctone di vitigni, più o meno conosciute. Tra queste ci sono Picolit, lo Schioppettino e altre tipologie meno note. Queste scoperte e studi sono già stati più volte presentati sia agli addetti ai lavori sia agli appassionati e, come ho detto spesso in alcuni di questi convegni, queste varietà sono assolutamente da conservare, per riuscire a valorizzarle anche, soprattutto, a livello commerciale. L’ identità, non solo a livello culturale, sarà la conditio sine qua non anche per la nostra economia». - Il suo assessorato ha competenza sulla promozione enogastronomica. Che progetti porterete avanti nel medio-lungo termine? «La delega alla promozione agroalimentare è recente per questo assessorato. Tuttavia, già da diversi mesi, stiamo lavorando per la valorizzazione con Ersa (l’Agenzia per lo sviluppo in agricoltura), sulla linea del Tipicamente Friulano, nato inizialmente per far conoscere il nuovo nome del Tocai, e poi diventato un marchio che vuole comprendere l’intero panorama agroalimentare regionale. A dicembre abbiamo registrato quattro versioni del marchio: il prossimo passaggio sarà quello di dargli una sostanza produttiva, concedendolo ad aziende e prodotti che seguano un disciplinare di produzione. Questa è una prima sfida. Inoltre, altro impegno è quello di rapportarci con le mense scolastiche, per riuscire a portare i prodotti tipici anche nelle scuole e sensibilizzare i ragazzi e soprattutto educarli a una consapevole e sana alimentazione legata alle produzioni del territorio». [/emember_protected]

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