Se i vini piemontesi di qualità, Barolo e Barbaresco su tutti, sono conosciuti e apprezzati nei principali mercati internazionali, una parte di merito va sicuramente alla Pio Cesare di Alba, un’azienda fondata nel 1881 da Cesare Pio (era questo, infatti, il cognome) e sviluppata nei decenni seguenti dai suoi successori, in particolare il figlio Giuseppe Pio, attraverso le prime esportazioni in Belgio, Francia, Svizzera e Stati Uniti.
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Ereditata prima della seconda guerra mondiale da Rosy Pio, andata in sposa a Giuseppe Boffa, ingegnere con un importante incarico industriale a Milano, la Casa vinicola fu sul punto di cessare l’attività, ma proprio Giuseppe Boffa nel 1943 decise di abbandonare il suo lavoro per dedicarsi alla Cantina trasferendosi ad Alba. Da allora, e fino alla sua morte avvenuta nel Duemila, l’ha guidata con passione e competenza.
«Se già nei primi decenni del Novecento il marchio Pio Cesare era presente su alcuni mercati», spiega il figlio Pio Boffa, «la vera svolta nell’export è iniziata nel momento in cui è cominciata per tutti, cioè verso la metà degli anni Sessanta. Io ho preso a seguire mio padre nel 1973 dopo aver fatto un’interessante esperienza di alcuni mesi in California nell’azienda Mondavi, che allora era agli albori della sua attività. Ci andai grazie al bel rapporto di amicizia di mio padre con un nostro importatore di San Francisco. È stato un soggiorno che mi è servito molto per capire l’evoluzione delle tecniche di produzione, e da lì è partita la corsa all’esportazione dei nostri vini sia sul mercato americano che in altri Paesi».«Mio padre, infatti», continua Pio, «vedendo che facevo volentieri questo lavoro, un giorno mi disse: “Questi sono i listini, vai e datti da fare; io, finché posso, lavoro da casa e ti tengo in piedi l’azienda”. Ebbene, il nostro è stato un tandem che ha lavorato meravigliosamente bene per un sacco di anni. Io ero libero di fare i miei viaggi senza l’assillo di pensare troppo agli aspetti economici, cioè di portare a casa contratti firmati. Però era importante seminare, convinti che i frutti sarebbero arrivati in futuro. Inoltre, quello era anche un periodo fertile per allacciare rapporti con gli importatori; quando ho cominciato io era semplice vendere vino: bastava esserci».
Ricorda, infatti, Pio Boffa che è vero che sulle piazze erano già presenti Cantine piemontesi, ma che però rappresentavano un mercato diverso da quello proposto dall’azienda albese. «Il ragionamento che facevo agli importatori era questo: il Piemonte è una realtà complessa: ci sono Case vinicole molto più grandi della mia che producono bene ma in grossi volumi. Poi ci sono anche vini fatti in maniera diversa, più di nicchia, dove Pio Cesare ha rappresentato sempre una parte significativa. Ed ecco che il mercato si apriva! Arrivavano su queste piazze i container delle altre aziende piemontesi, ma c’erano anche i nostri 20-30 cartoni, che però costituivano l’inizio di una semina che poi ha dato i suoi frutti. Stiamo parlando dei primi anni Settanta!».
Chiediamo a Pio se c’è stato un momento, nei decenni successivi, in cui si è verificato un salto esponenziale nelle esportazioni: «Francamente no, il nostro è stato un incremento costante e graduale. L’evoluzione dei consumi a livello internazionale ha portato a un consolidamento dei volumi, però bisogna dire che il trend non è finito. Insomma, non credo sia il caso di affermare che non abbiamo più spazi per i vini italiani: gli spazi ci sono, solo che bisogna andare a cercarseli».«Per quanto riguarda la nostra azienda», dice ancora, «i mercati importanti sono coperti bene perché abbiamo fatto anche un’azione di pulizia e di rapporti personali con i distributori e i clienti. Stiamo cercando di selezionare il più possibile la clientela muovendoci verso ristoranti, enoteche e privati. L’obiettivo è fare arrivare le nostre etichette in locali dove magari l’Italia non è quella che riempie le pagine della carta dei vini».
In tutti questi quasi quarant’anni Pio Boffa ha fatto più volte il giro del mondo, sempre con quel suo sorriso e l’aria rassicurante, ma fermamente convinto nel tenere alto il nome della Casa vinicola che per lui, giustamente, è un forte motivo di orgoglio. «Conservo tanti piacevoli ricordi dei miei viaggi di lavoro, ma quelli che mi hanno maggiormente emozionato sono stati quelli negli anni Settanta-Ottanta, organizzati da Civiltà del bere. Missioni incredibili all’estero, con saloni gremiti di qualificati degustatori: una cosa che non si può dimenticare. Voglio rendere omaggio a Pino Khail che ci ha condotti a queste esperienze, non solo noi piccoli produttori, ma anche i grandi nomi di allora. Un lavoro fondamentale per il consolidamento dell’immagine del nostro vino di qualità. Khail ha rappresentato l’unione dei produttori italiani sui mercati mettendo d’accordo colleghi anche delle stesse zone di produzione che fino ad allora erano accesi concorrenti. Sono certo che quei viaggi sono stati come una scuola, anzi un’università per tutti noi, in giro per il mondo».
Grazie al suo Barolo non sono mancate alla Pio Cesare le soddisfazioni per i riconoscimenti ottenuti. Per due volte, infatti, questo vino è entrato nella speciale classifica dei Top 10 stilata da Wine Spectator. «Due anni fa, in occasione della cerimonia del Wine Experience a New York, dove i produttori vincitori venivano presentati a un pubblico di quasi un migliaio di invitati, ci fu un momento nel quale dovetti intervenire per chiarire un aspetto cui tengo moltissimo. Quando fu il mio turno, al presentatore della serata, il notissimo Harvey Steiman, nel descrivere e nell’esaltare le qualità del nostro Barolo 2004, scappò detto un “Figuratevi, che non è neppure il suo single vineyard, bensì un regular”. Cioè un Barolo “base”. Saltai sul palco, presi il microfono e spiegai a Steiman e alla platea che non esiste un Barolo base perché per definizione il Barolo è un grande vino. Gli risposi: “Se volevi dire che questo Barolo non è una selezione ti capisco, ma regular non esiste”. Insomma, mi risentii perché questa è una battaglia che noi produttori stiamo combattendo da sempre in tutto il mondo contro chi vuole distinguere le Denominazioni tra serie A, B e C. Vini come il Barolo o il Brunello e altri non si possono definire “base”: sarebbe la morte della Denominazione. Vogliamo che si smetta di stilare classifiche che non hanno alcun senso».
1881 Cesare Pio, nella foto accanto, fonda l’azienda vitivinicola con sede ad Alba con il marchio “Pio Cesare”
1943 Giuseppe Boffa, sposato con Rosy (figlia di Giuseppe Pio), lascia il suo importante lavoro di ingegnere a Milano per stabilirsi ad Alba e iniziare a occuparsi direttamente dell’azienda della consorte. Da allora e fino al Duemila la guida con passione e competenza.
1972 Il giovanissimo Pio Boffa inizia a conoscere la viticoltura internazionale con uno stage di tre mesi nella Casa vinicola californiana Mondavi che all’epoca era agli albori della sua attività. Grazie a questa occasione, capisce le tecniche di produzione.
2004 Il Barolo di quest’annata ottiene un prestigioso piazzamento nella Top 10 di Wine Spectator. Si tratta di una soddisfazione strepitosa per la Cantina piemontese.
OGGI
Export: 75%
Bottiglie più esportate: Barolo, Barbaresco, Barbera d’Alba
Primi mercati: Stati Uniti, Canada, Germania, Svizzera e Danimarca.
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