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Si venderà facendo neuromarketing. Un seminario alla Fondazione Mach

15 Marzo 2011 Monica Sommacampagna
Di fronte a un nuovo consumatore critico e innovativo, che ha un rapporto soggettivo con il vino, come migliorare le proprie chance commerciali? Una nuova strada è rappresentata dal neuromarketing, disciplina che lega il marketing alle neuroscienze per stabilire maggiore empatia con ogni potenziale cliente e stimolarlo all’acquisto. Se ne è parlato nel primo seminario internazionale di marketing del vino “Strategie e strumenti di fronte alle nuove realtà del vino italiano” svoltosi alla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Trento) il 10 marzo scorso, moderato dal giornalista Fabio Piccoli. «In un mondo dove la classe media diminuisce, in cui aumenta la proliferazione di prodotti e le relazioni sono affidate sempre più alle tecnologie quello che conta oggi non è tanto il prodotto ma la capacità di fare mercato» ha affermato Alberto Mattiacci, professore ordinario di Market Driver Management all’Università romana “La Sapienza”. In contesto di “commoditizzazione” che tende a standardizzare la qualità «dovremmo creare marche che diano valore alla qualità e nuovi significati al vino, risultati che non riusciamo a ottenere attraverso il marchio» ha commentato Attilio Scienza, professore ordinario alla Facoltà di Agraria all’Università di Milano. Nell’approccio al consumatore Scienza ha individuato tre stili, con tre diverse priorità: mediterraneo, che privilegia fattori come terroir e vitigno, anglosassone, che punta su vitigno e terroir e asiatico, interessato a gusto e a tecnica di vinificazione. L’utilizzo del neuromarketing, introdotto timidamente tre anni fa, rappresenta un passo ulteriore. «In particolare vengono parametrati tre processi mentali importanti per determinare l’acquisto: la percezione del prodotto, le conoscenze acquisite e il mondo emozionale, quello che fa scattare il link tra valore e immaginario» – ha spiegato Mattiacci. Di fronte a tante opportunità di acquisto il brand ci illumina quando siamo indecisi o non percepiamo l’esatto rapporto qualità/prezzo. Il riferimento a una tradizione produttiva è altamente assicurante ma non basta, occorre tenere sempre vive le tessere cognitive come il logo e il nome, lavorando nel lungo periodo per essere riconosciuti e mantenere il ricordo nella mente delle persone». Massimiliano Bruni, direttore del Master in Food & Beverage Management della SDA Bocconi di Milano, ha sottolineato anche, in un ampio quadro di dati economici e di mercato, la necessità per l’Italia di fare massa critica. Dalle parole agli esempi con le testimonianze di quattro amministratori delegati di aziende di primo piano a livello internazionale: Giovanni Geddes di Marchesi de Frescobaldi, Ettore Nicoletto, del Gruppo Santa Margherita, Guido Pianaroli, di Cantine Ferrari e Claudio Rizzoli, di Nosio Spa-Mezzocorona. Approfondimento: il mercato italiano visto da Healstead

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