Lo storico marchio, distribuito in Italia da Sagna Spa, festeggia due secoli di attività ininterrottamente nelle mani della stessa famiglia, oggi rappresentata dai fratelli Erwan ed Eve Faiveley. Con un patrimonio di 140 ettari tra la Côte de Nuits, la Côte de Beaune, la Côte Chalonnaise e Chablis, è uno dei maggiori proprietari terrieri della regione
1825-2025. Quest’anno il Domaine Faiveley festeggia due secoli di storia. Un traguardo straordinario per una pietra miliare della Borgogna, che ha saputo rinnovare la propria identità senza perdere il fascino delle origini e restando sempre salda nelle mani della stessa famiglia.
Oggi al comando c’è la settima generazione, rappresentata da Erwan Faiveley e sua sorella Eve, entrati in azienda rispettivamente nel 2005 nel 2014. A loro si deve il prezioso lavoro di ristrutturazione tecnica e organizzativa delle attività,nel rispetto assoluto della migliore tradizione borgognona.
I numeri vincenti del Domaine Faiveley
Fondato nel 1825 da Pierre Faiveley nel cuore della Côte d’Or, il Domaine possiede un patrimonio di vigneti più unico che raro, che lo rende uno dei maggiori proprietari terrieri della regione. In tutto circa 140 ettari distribuiti tra la Côte de Nuits, la Côte de Beaune, la Côte Chalonnaise e Chablis. Detto in altri termini, 12 ettari Grand Cru e 27 Premier Cru, con ben 6 Monopole (Clos des Cortons Faiveley, Clos des Issarts, los de l’Ecu, Clos des Myglands, Le Clos du Roy, La Framboisière) e numerose parcelle nei prestigiosi Chambertin-Clos de Bèze, Corton-Charlemagne, Echezeaux, Musigny, Clos de Vougeot, Gevrey-Chambertin e Bienvenues-Bâtard-Montrachet.
Il nuovo corso voluto dalla settima generazione
Parliamo di circa 800.000 bottiglie all’anno, suddivise in 65 cuvée, di cui 12 Grands Crus e 22 Premiers Crus. La quota dei volumi destinati all’estero si aggira intorno al 70%. In questo quadro, l’attività di négoce del Domaine rappresenta solo il 10% del fatturato e serve principalmente alla produzione del Bourgogne Pinot noir Aoc, con uve provenienti da oltre 700 viticoltori selezionati.
Sotto la direzione di Erwan ed Eve Faiveley, il Domaine ha portato avanti l’iter di conversione in biologico dei vigneti. Un progetto durato ben 15 anni e che, proprio a partire dalla vendemmia 2025, vedrà la certificazione completa di tutti gli appezzamenti. In vigna sono state impostate squadre di lavoro dedicate per ciascuna parcella (con formazione continua e stipendi raddoppiati), mentre l’introduzione della tecnologia di precisione in cantina ha permesso un controllo costante e accurato della vinificazione e dell’affinamento.

Cura dei particolari in vigna e in cantina
Dal 2007 la supervisione è affidata all’enologo Jérôme Flous, che ha impostato un lavoro parcellare in vigna e vinificazioni con estrazioni più lunghe e precise in cantina, privilegiando maturazioni in legni di I e II passaggio in ambienti a temperatura controllata.
«La Borgogna vuole far finta che la tecnologia non esista ma c’è, nascosta ma c’è», precisa Flous. «Il protocollo produttivo prevede una doppia pressatura soffice a temperatura controllata, fermentazioni separate e infusioni lente dei tannini, passaggi in pièces borgognone (ogni anno vengono acquistate 600 botti nuove) nelle storiche gallerie ottocentesche e un monitoraggio continuo delle botti per temperatura, CO₂, malolattica e volatili». Solo così possono nascere le etichette Domaine Faiveley dallo stile piacevolmente contemporaneo e al tempo stesso espressione identitaria del terroir.
La storia del Clos des Cortons Faiveley
Tra i 6 Monopole aziendali, un posto speciale è occupato dal Clos des Cortons Faiveley che ha preso il nome della proprietà con una sentenza nel 1930, a seguito della richiesta da parte degli altri produttori di Corton di togliere la parola Clos, che a loro dire poteva indicare una qualità più elevata rispetto agli altri vini prodotti nella stessa collina. La sentenza stabilì che Domaine Faiveley dovesse scrivere il proprio nome in etichetta, diventando l’unico caso in Borgogna dopo Romanée-Conti. Le uve Chardonnay di una parte di questo clos vengono impiegate per la produzione del Corton Charlemagne Grand Cru e, anche in questo caso, il nome della vigna ha una storia da ricordare: si chiama così perché nel 775 fu offerta dall’imperatore Carlo Magno alla collegiata di Saint-Andoche di Saulieu, del cui patrimonio continuerà a far parte per circa mille anni.

L’armonia del Corton Charlemagne Grand Cru 2022
Il Corton Charlemagne nasce da piante quasi centenarie su terreni argillosi e di marna grigia e affina per 16 mesi in pièce borgognone nuove. Si distingue per i suoi aromi di frutta e fiori bianchi, una mineralità sferzante e una speciale persistenza, con una capacità di invecchiamento notevole.
L’ultima annata in commercio è la 2022, caratterizzata da un inverno mite e una primavera dal rapido sviluppo vegetativo grazie al calore e alle piogge regolari. «Le precipitazioni estive sono state salvifiche, permettendoci di gestire una vendemmia anticipata e abbondante», conclude Jérôme Flous. «Nel calice il vino si rivela con un profilo aromatico ampio e intenso, con frutti dolci, note speziate e una vena sapida che esalta l’armonia della struttura».
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