Lo chef Giacomo Sacchetto gioca in casa, proponendo una cucina concreta e ben decifrabile con la giusta eleganza e voglia di stupire senza strafare. La location – un palazzo del Quattrocento fresco di restauro conservativo – accresce la meraviglia.
Non tutti sanno che l’iris è il fiore simbolo di Verona. In passato le famiglie contadine locali si dedicavano alla pulizia, all’essicazione e alla vendita dei bulbi, che poi venivano utilizzati per confezionare profumi e prodotti di cosmetica. La delicata bellezza di questa pianta ha ispirato il nome di Iris Ristorante, ambizioso progetto di fine dining ospitato in un palazzo quattrocentesco del centro storico della città scaligera, a 500 metri da Piazza delle Erbe e dall’Arena romana.
Una stella Michelin a pochi mesi del via
Aperto nel maggio 2023, Iris Ristorante ha già guadagnato il favore degli ispettori della Rossa, che gli hanno conferito la stella Michelin dopo pochi mesi dall’avvio, nell’edizione 2024 della Guida. Il merito va soprattutto al talentuoso chef Giacomo Sacchetto, classe 1985 di Vallese di Oppeano, nel Veronese, che ha alle spalle una lunga gavetta alla scuola di Norbert Niederkofler e Giancarlo Perbellini, con esperienze anche nelle brigate di Andrea Berton, Alfio Ghezzi e Massimiliano Alajmo. La stella per lui era già arrivata nel 2020 con il progetto La Cru a Romagnano di Grezzana, in Valpantena, che ha lasciato proprio per intraprendere la nuova avventura nel cuore di Verona. Iris trova spazio nel quattrocentesco Palazzo Soave, dal nome della famiglia oggi proprietaria, che ha dato vita ad un prezioso progetto di restauro conservativo (che include anche il vicino Palazzo Reggiani, trasformato in una dimora di charme con cinque appartamenti luxury), riportando in luce la secolare bellezza dell’antica struttura.

La tavola mette al centro Verona e il Veneto
Il viaggio del gusto comincia al piano -1 del palazzo, intorno a una scenografica cantina tra volte a botte e stratificazioni di mattoni a vista che scandiscono le diverse epoche di costruzione. È qui che agli ospiti vengono serviti il calice di benvenuto e gli amuse bouche. A seguire, ci si sposta (in ascensore) al piano terra, nelle sale principali del ristorante, tra antichi affreschi, chandelier moderni, pavimento in seminato veneziano e una cucina a vista dove lo chef guida con fermezza la sua brigata.
Valorizzare Verona e il Veneto attraverso una proposta culinaria concreta, precisa e incisiva, scandita da un apprezzabile gioco di contrasti tra le note fresche, acide e amare. È questa la mission di chef Sacchetto, che comincia dalla ricerca appassionata delle materie prime. Le verdure, le uova e le farine provengono dall’azienda agricola Trètener di Sant’Andrea, con cui lo chef sta sviluppando un orto dedicato in esclusiva al ristorante. Per i prodotti avicoli c’è Pollo Ruspante di San Giorgio in Salici, dove gli animali nascono e crescono allo stato brado. Ancora, le carni rosse arrivano dalla macelleria Sartori di Verona e il black angus da Mr Beefy, l’azienda agricola dell’allevatore Placido Massella a Mozzecane.








Territorio e cucina di mare nei due menu degustazione
Si può ordinare uno dei due menu degustazione, che si rinnovano stagionalmente e rappresentano le due anime della filosofia di Sacchetto. In particolare il menu Raccontami (6 portate alle quali se ne possono aggiungere 3 a sorpresa; 140 euro + abbinamento vini a 65 euro) porta in tavola la tradizione veneta e veronese riviste in chiave contemporanea; mentre Adriatico e dintorni (8 portate, 170 euro + abbinamento vini a 95 euro) ruota intorno ai frutti più pregiati che arrivano dal mare che bagna la parte orientale della nostra Penisola.
Tra le portate più emblematiche del menu Raccontami c’è il Riso al Chiaretto di Bardolino, storione, rapa rossa e rosa. Il risotto, sfumato e mantecato con il vino, viene accompagnato dal pesce marinato con la rapa rossa e poi servito a fette. A completare il piatto si aggiungono pennellate di riduzione di rapa rossa che ricordano l’iconico Dripping di pesce del maestro Gualtiero Marchesi. Il risultato è un vero e proprio quadro, bello da vedere, ma anche soprattutto da assaggiare, grazie all’equilibrio sottile tra le note dolci e sapide dei suoi elementi, tutti ben distinguibili.
Concretezza, freschezza e arte di stupire
Restando sul fronte dei primi, nel menu Adriatico si distingue lo Spaghetto turanico, canocchie, asparagine e liquirizia, liberamente ispirato dall’apprendistato dello chef Sacchetto nelle cucine di Alfio Ghezzi e Giancarlo Perbellini. La pasta, da farina di grano Turanico del Pastificio Mancini, viene servita su un letto di asparagine spontanee, con un sugo di canocchie e polvere di liquirizia. Ogni forchettata regala una combinazione esaltate che spazia dall’amaro all’erbaceo fino al balsamico.
Menzione d’onore per i dolci, che si distinguono anche per l’approccio divertente e scenografico. È il caso di Sinfonia di agrumi un dessert fruttato con spuma di pompelmo, gelatina al lime, sorbetto alla clementina, agrumi freschi e un tocco effervescente di Frizzy Pazzi, l’iconica gomma da masticare in voga negli anni Ottanta che “scoppietta” in bocca. E ci fa tornare un po’ bambini. E che dire della piccola pasticceria finale, che arriva al tavolo all’interno di una riproduzione dell’Arena di Verona, città della lirica, che si apre in due per permettere alle Dolcezze in festival al centro del palco di essere degustate dai commensali. Uno spettacolo, anzi, un vero coup de theatre con tanto di aria dell’Aida in sottofondo!

In carta oltre 800 referenze identitarie
Anche la carta dei vini, ben congegnata dal sommelier Andrea Puliga (che arriva dallo stellato Lido 84 di Riccardo Camanini), parla in primis veneto. Su un totale di circa 800 etichette, il cui numero è destinato a raggiungere le mille nel prossimo futuro, il 15% è rappresentato da aziende e denominazioni locali, con un’attenzione sul Soave per i bianchi e sui rossi della Valpolicella. Continuando a ragionare per percentuali: 40% ci porta in Francia, e in particolare nella Champagne e in Borgogna. Tornando in Italia, la seconda regione più rappresentata dopo il Veneto è il Piemonte. Completano la carta referenze da Germania, Austria e una piccola selezione dalla Slovenia. Piccole cantine e grandi classici: non ci sono preferenze o preclusioni, ma ogni bottiglia deve essere rappresentativa del proprio territorio d’origine e avere una storia forte da raccontare al commensale.
Ricarichi contenuti e una selezione ricercata
Professionista preparato ed empatico, il sommelier Andrea Puliga adatta il servizio alle esigenze personali dell’ospite, traghettandolo in un percorso di degustazione che rivela la sua massima sartorialità nell’abbinamento al calice proposto intorno ai due menu degustazione. Un esempio su tutti? La corrispondenza d’amorosi sensi tra la Capasanta, sedano di Verona, caviale Royal e passion fruit a nozze con il Soave Classico Fittà, generoso cru di Garganega 2020 di Suavia, tratto dal percorso Adriatico e dintorni.
Sfogliando la carta dei vini, oltre alla varietà della proposta, colpisce la discrezione dei ricarichi, ormai più unica che rara nei ristoranti stellati. Il Lugana 2022 di Sansonina è a 45 euro, così come il Valpolicella Superiore Ripasso Case Vecie 2020 di Brigaldara. Il Valtellina Superiore Costa Bassa 2020 di Sandro Fay costa 50 euro, mentre il il Collio di Edi Keber 2022 è a 55 e lo Stoan (blend di Chardonnay, Sauvignon, Pinot bianco e Gewürztraminer) 2020 di Cantina Tramin a 60. Quanto ai rossi iconici, il Barolo Cerretta 2015 di Ettore Germano si apre a 110 euro; e il San Leonardo 2018 a 150 euro.