Sono la punta di diamante della produzione Docg e oggi occupano circa 370 ettari vitati, superando i 3 milioni di bottiglie. Il Disciplinare ne prevede 43, ma al momento sono solo 30 quelle rivendicate e 8 le più importanti. Il racconto di alcuni produttori impegnati nella loro valorizzazione
Dopo aver inquadrato le principali novità e i progetti del distretto del Conegliano Valdobbiadene, è d’obbligo un aggiornamento sulle Rive, la punta di diamante della produzione Docg. Con questo termine Rive vengono chiamati i fianchi scoscesi delle colline, che possono essere molto ripidi, quasi verticali. Rappresentano la sintesi dei valori della denominazione e l’essenza del territorio.
I numeri delle Rive oggi
Qui la diversità dei suoli e del microclima, ma anche il lavoro manuale dei viticoltori esaltano la vocazionalità di luoghi unici. Delle 43 menzioni identificate, sono 30 quelle attualmente rivendicate e 8 le più importanti, ovvero Colbertaldo, Col San Martino, Guia, San Pietro di Barbozza, Refrontolo, Collalto, Santo Stefano e Ogliano.
Nel 2023 gli ettari erano 370, su un totale di poco più di 8.600 a Docg, con una produzione di quasi 3,7 milioni di bottiglie. «Nel 2024 c’è stato un calo del -16%, ma in questi ultimi anni sono sempre cresciute», afferma il presidente del Consorzio Franco Adami. La diminuzione potrebbe essere in parte dovuta all’annata difficile per le frequenti piogge primaverili, che hanno portato all’intensificarsi di micro frane.
I progetti per valorizzarle
«Grazie a un finanziamento della Regione Veneto, Il Consorzio studierà 10 Rive in modo estremamente approfondito», racconta il direttore del Consorzio Diego Tomasi. «Inoltre il viticoltore alle prese con il problema degli smottamenti, che richiedono manodopera e ulteriore lavoro aggiunto, in un ambiente già eroico, deve anche sottostare alla burocrazia, che rallenta i tempi. Abbiamo pertanto avviato un progetto, Riav, che prevede un manuale con le mappe del rischio idrogeologico». L’idea è di trovare delle tecniche semplici, univoche e non impattanti per evitare che il meccanismo burocratico inceppi il lavoro sulle Rive in caso di frane.
L’impegno delle Sorelle Bronca
I vertici del Consorzio credono fortemente nelle Rive, ma abbiamo intervistato anche qualche produttore per capire il loro punto di vista, considerando che sono ancora pochi a produrle. Per Antonella Bronca, dell’azienda Sorelle Bronca, «le Rive sono l’espressione più autentica del nostro terroir, dove è possibile dimostrare la diversità e la qualità del lavoro svolto». L’azienda comincia a produrre i cru nominandoli con i numeri del mappale, prima ancora che le Rive fossero regolamentate nel 2019. La particella 68, che corrisponde a Rive Colbertaldo, nasce con la vendemmia 2002, su terreni calcarei con le vigne più vecchie (50-60 anni). Nel 2017 nasce la particella 232 (Rive di Farrò), la vigna più alta a circa 300 metri di altitudine, caratterizzata da vene di argille grigio-azzurre con vigne di diversa età: una parte di circa 50 anni e le altre di 10. Nel 2018 ecco la 181 (Rive di Rua) su terreni rossi ricchi di ferro e vigne trentenni. Tutte fanno una lunga sosta sur lie di circa 7 mesi con una produzione di 12 mila bottiglie. All’assaggio emergono racconti diversi che colpiscono e incuriosiscono.
Le scelte di Enrico Moschetta a BiancaVigna
Per Enrico Moschetta di BiancaVigna le Rive sono un’opportunità per valorizzare la filosofia del produttore in sintonia con le specificità territoriali, una scelta di diversificazione qualitativa rispetto al Conegliano Valdobbiadene Docg, dove ci sono meno margini per far uscire la forza dei single vineyard. «Produco tre Rive: Soligo, Ogliano, e Collalto. La prima inizio a produrla nel 2011, la seconda nel 2016, l’ultima nel 2020. Soligo è una vigna eroica, a 380 metri di altitudine, su terreni calcarei e rocciosi, con vigne che arrivano ai 50 anni. Ogliano e Collalto sono colline più dolci. La prima è su terreni argillosi, con vigne che raggiungono i 35 anni d’età, con un microclima più temperato ma che, grazie al vento fresco proveniente dalle montagne, gode di grande escursione termica. Collalto è circondato da boschi e anche qui l’escursione termica gioca un ruolo favorevole».
Spazio per le sperimentazioni a Ca’ dei Zago
Se facciamo un passo indietro nella storia non possiamo non citare Carpenè Malvolti, con Antonio Carpenè che fu tra i fondatori della prima Scuola Enologica d’Italia nel 1876 e tra i pionieri del Prosecco, con uno studio specifico su un metodo di produzione che venne poi chiamato con il suo cognome. È interessante affiancare ad uno dei pilastri della denominazione un giovane, Christian Zanatta di Ca’ dei Zago, quinta generazione. I suoi Prosecco rifermentati in bottiglia (praticamente dei Colfondo, il metodo antico locale, con rifermentazione spontanea in bottiglia), provenienti da due cru differenti, Ca’ dei Zago e Mariarosa, sono secchi, intensi, autentici: una gioia per la beva mai scontata. Christian mantiene le antiche tradizioni ma è proiettato anche verso l’innovazione: è uno dei pochissimi produttori che fa anche un Metodo Classico, a dosaggio zero. «Volevo sperimentare e capire se la Glera potesse reggere questo sistema di vinificazione. Una sfida, che mi ha dimostrato che è possibile. Ovviamente i profumi di fiori e frutta fresca si sentono poco perché il naso è più complesso, al gusto è più strutturato ma è incredibile come il sale e la mineralità di vigna Bastie rinfreschino il sorso, pur con un’acidità inferiore al metodo Martinotti».