La struttura dell’acino, che favorisce l’estrazione di colore e tannino, è il motivo per cui spesso viaggia accompagnato da Merlot e Franc. Sa di frutti di bosco, cassis e, nei climi più freschi, ha una nota vegetale. Ben si adatta al clima che cambia.
L’articolo fa parte della Monografia Cabernet Sauvignon – The King is back (Civiltà del bere 2/2024)
Il Cabernet Sauvignon è un vitigno dominante. Sul clima, sullo stile di vinificazione. Tende a imporsi e a imporre la sua personalità forte. A dirlo sono gli enologi stessi. Wikipedia ne dà una definizione quasi opposta, come a dire che dal punto di vista generalista se ne ha un’idea distorta. Viene considerato “duttile” perché indubbiamente delle varietà che oggi consideriamo internazionali è quella piantata in tutti gli areali del vino. Si tratta di un’uva a bacca nera originaria della Gironda, del Médoc e delle Graves, dove i terreni hanno un ottimo drenaggio.
Il Cabernet Sauvignon infatti matura tardi e cominciando a inquadrarlo proprio dal suolo ama i terreni leggeri e drenanti, perlopiù sabbiosi, che tengono le radici al caldo e favoriscono proprio la maturazione delle uve. A differenza ad esempio del suo miglior amico, il Merlot, che predilige terreni argillosi più freschi per le radici, essendo una varietà precoce.
I punti deboli
La prima e forse più importante caratteristica di questo vitigno è avere acini piccoli, perfetti per la produzione di vino di qualità. Nei quali cioè il rapporto tra buccia, scura, purpureo violacea, e polpa (ma anche vinaccioli) favorisce proprio l’estrazione di colore e tannino. Oggi, con annate sempre più calde, questa struttura ampelografica è forse il limite più importante del Cabernet Sauvignon.
In annate come la 2017 in Toscana, a Bolgheri ad esempio dove il Cabernet Sauvignon ha trovato una delle sue più nobili dimore, i suoi acini erano più simili a mirtilli che a chicchi d’uva.
Siccità e temperature elevate, certo, ma bisogna anche ammettere quanto certe risultanze siano la conseguenza di azzardi, se non veri e propri errori agronomici. Negli anni Novanta del secolo scorso si è piantato con fittezze per ettaro che ricalcavano il modello bordolese ignorando il fatto che a Bordeaux c’è un clima marittimo, molto più piovoso e fresco di quello bolgherese.
Il caldo sta imponendo, almeno in Italia, impianti più radi al Cabernet Sauvignon e la riduzione delle vendemmie verdi per non andare ad accentuare proprio quella naturale tendenza dell’uva a produrre acini piccoli e quindi a esacerbare il rapporto buccia polpa e di conseguenza la struttura del vino in rapporto alla concentrazione del frutto e alla pienezza, che poi è il suo punto debole e il motivo per il quale viene spesso proposto in blend col Merlot o con il Franc.


Il vitigno del futuro
Lo spessore delle bucce del Cabernet Sauvignon è però forse il suo fiore all’occhiello, ciò che ha consentito che venisse piantato un po’ in tutto il mondo per la sua naturale resilienza e resistenza alle muffe. Dalle bucce dipende anche la sua tendenza a maturare tardi, una delle ultime varietà, una settimana o due dopo Merlot e Cabernet Franc come in genere riportano i manuali, ma con differenze oggi divenute anche di un mese alle latitudini italiane.
La sua tendenza a imporsi parte già dal momento vendemmiale, non così cruciale come altre varietà. Ecco perché ai nastri di partenza delle varietà del futuro si presenta in pole position. Produce vini che sanno di cassis, di frutti di bosco, di mirtillo quando vira verso una piena se non quasi eccessiva maturazione e di peperone verde, come dicevano certi manuali senza specificare che, in realtà, il carattere pirazinico del vitigno viene esaltato da una non piena maturazione o da climi freschi. Ciò dipende anche dalla naturale vigoria del Cabernet Sauvignon che predilige non a caso portinnesti deboli, ma anche in questo caso un’ottima caratteristica in prospettiva global warming.
Note piraziniche: favorevoli e contrari
«Il Cabernet Sauvignon è un vitigno molto tenace, resiste alle condizioni più disparate sia di temperatura sia di piovosità», spiega Calogero Portannese, amministratore delegato di Trinoro e già padre di alcuni grandi Supertuscan. «È un vitigno che inizialmente veniva utilizzato per il vino da taglio, perché in purezza è molto forte, con note verdi di erba tagliata, pirazinico. A differenza del Merlot o del Franc dove hai una finestra vendemmiale molto corta, il Cabernet Sauvignon ti permette il tempo giusto per raccogliere».
David Cilli, direttore di Promontory Winery in California, ammette: «Come tanti tecnici anch’io pensavo che avere una maturazione lenta e lunga fosse la situazione ideale per il Cabernet Sauvignon, ma in questo momento visti i cambiamenti climatici la sfida è averne una più anticipata possibile.
Prima hai buoni tannini, prima puoi raccogliere, più freschezza mantieni, meno alcol si produce. Da anni ormai, per esempio non irrighiamo le piante mature. Così la pianta ha un ciclo più corto. Per l’Europa questo non vale per le piogge durante la stagione. Abbiamo smesso di cimare, ma facciamo solo l’accapannamento (che consiste nell’arrotolare i tralci che superano l’ultimo filo sopra i pali, favorendone la lignificazione, ndr) sempre per ridurre gli zuccheri. Manteniamo però cariche basse così l’uva matura prima e si vendemmia a fine agosto e inizio settembre. Dieci anni fa quando sono arrivato in California si vendemmiava la terza settimana di settembre. Nemmeno nella fresca 2023 ci siamo spinti così avanti».
Questa scelta apparentemente controtendenza va letta alla luce del fatto che la critica americana ha sempre osteggiato le note piraziniche del Cabernet Sauvignon bollate come un generico erbaceo trattato ai limiti del difetto. Fortune come quella dell’enologo francese Michel Rolland e della sua microssigenazione partono proprio dal togliere al Cabernet Sauvignon l’erbaceo a favore del frutto. Diverso approccio in Italia. L’enologo Carlo Ferrini, storico consulente di Tenuta San Leonardo, taglio bordolese delle Dolomiti trentine, ha sempre sottolineato come le note piraziniche siano sinonimo di pulizia del vino. Inoltre si può aggiungere che, ovviamente quando non accompagnate da sensazioni verdi o amare sul palato, quelle note aromatiche evolvono col tempo in entusiasmanti sentori di fondo di caffè.


Come sviluppare il lato migliore
Approccio quasi opposto a quello americano da parte di Eric Boissenot a Bolgheri (Tenuta Fratini). Il consulente francese dei più grandi Château bordolesi irriga mantenendo rese basse e vendemmie verdi, per restituire al Cabernet Sauvignon quell’eleganza nordica che lo ha reso apprezzato in tutto il mondo. Da Bordeaux arriva invece una sintesi come sempre precisa e illuminante di Axel Heinz, Ceo di Château Lascombes a Margaux, che parla della necessità di preservare la verticalità del vitigno.
«Dal punto di vista aromatico, nei suoi vini oltre alle note fruttate se ne percepisce anche una vegetale, che col tempo sviluppa freschezza, balsamicità, resina e tabacco». Ecco il punto. «L’invecchiamento è veramente la cosa che fa emergere le qualità del Cabernet Sauvignon, dove la ricchezza tannica si ammorbidisce e la complessità aromatica si amplia. Bisogna evitare invece le espressioni giocate sul lato più maturo e denso, anche se è una varietà che non teme la sovramaturazione».
In cantina però, ecco un altro elemento distintivo del Cabernet Sauvignon, Axel Heinz sottolinea: «È un vitigno poco tollerante, ha uno stile preciso e difficilmente dà vita a espressioni diverse. Dona sempre vini di struttura e ampiezza, e tende a imporsi in termini di vinificazione; bisogna trattarlo in modo soffice e senza eccessiva estrazione. Così viene fuori il suo lato migliore. Il vinificatore si deve sottomettere al vitigno». Sul futuro del Cabernet Sauvignon il numero uno di Lascombes aggiunge: «Ha ampiamente dimostrato in tutto il mondo capacità di resistenza alla siccità, ma nella gestione agronomica non bisogna scoprire troppo i grappoli per evitare le scottature, che possono togliere un po’ di quella finezza e verticalità aromatiche alle quali abbiamo accennato, mantenute invece anche nelle annate più calde». Un vitigno dunque sul quale si potrà continuare a scommettere.