Gli italiani continuano a preferire l’acqua in bottiglia, snobbando quella di rubinetto. Acidità, residuo fisso e calcio sono i valori da tenere sott’occhio quando si sceglie la marca. E nei locali crescono le carte ad hoc.
In una rivista che parla del bere è giusto raccontare anche il liquido che più di tutti accompagna il nostro mangiare: l’acqua. E qui iniziano i problemi. Quella di rubinetto è, dovunque, altrettanto controllata di quella in bottiglie. A volte è più buona, a volte meno, ma questo vale anche per vino, birra e qualunque alcolico. Però a noi italiani non piace, non c’è niente da fare, solo qualche grande antropologo potrebbe forse spiegare la cosa. Personalmente – ma sono molto digiuno di antropologia, essendo uno storico economico di formazione, e storici economici e antropologi bisticciano quasi sempre – credo che derivi dal fatto che una delle certezze nostrane condivise sia l’estrema sfiducia in qualunque cosa sappia di “pubblico”, per cui la gente non crede che l’acqua di rubinetto valga come quella in bottiglia. Poi se si chiede in un referendum: vuoi l’acqua pubblica o privata? Stravince il pubblico. Misteri della psiche italica. E quindi, se un ristorante proponesse acqua di rubinetto, penseremmo: che pezzenti che sono.
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