Dall’approvazione delle prime Doc, la storica azienda toscana ha saputo rinnovarsi investendo in vigna e nel talento dei professionisti di settore. Le attuali nove tenute nei luoghi più vocati e le etichette simbolo.
«I cinquant’anni del vino italiano li farei partire dall’approvazione del DPR 930 del 1963 che stabiliva le norme di tutela delle denominazioni d’origine», è il punto di vista di Lamberto Frescobaldi, presidente della storica azienda fiorentina, nonché presidente dell’Unione italiana vini, «perché in quel decennio, grazie anche ai piani Feoga della Comunità europea, furono gettate le basi per la rinascita della vitivinicoltura italiana. D’altra parte un grande vino è sempre il risultato di una interazione tra il luogo dove si produce e le persone che lo fanno. Non dobbiamo dimenticare, tra l’altro, che in quel periodo c’era carenza di vino, perché le famiglie si stavano urbanizzando, e pertanto c’era la necessità di dar vita a un’agricoltura professionale e moderna, proprio per soddisfare le richieste che venivano dalle città».
Anche Marchesi Frescobaldi, nonostante una tradizione in campo vinicolo risalente al XIV secolo e la proprietà di varie tenute in Toscana, aveva bisogno di un rinnovamento e lo fece assumendo talenti nelle scuole di agraria e nelle università al fine di produrre vini di qualità che potessero essere esportati nel mondo. «Anche nel settore della distribuzione è stato importante creare un’efficiente rete di agenti per avvicinare la clientela più distante, e questo sia in Italia che all’estero». Tra i passaggi che negli anni Settanta-Ottanta hanno portato le aziende a uscire dal proprio “orticello”, Lamberto Frescobaldi cita l’opera di Pino Khail, fondatore e anima di Civiltà del bere per circa 40 anni, perché con i suoi viaggi di lavoro all’estero portava i produttori a vedere cosa succedeva fuori dal Paese. «In un certo senso», dice, «Pino Khail ha fatto da mamma agli imprenditori vinicoli italiani mettendoli su un aereo».
Nove tenute per 1.600 ettari
Di estrema importanza il rinnovamento dei vigneti operato assieme al dottor Luciano Boarino, con impianti ad alta densità messi a dimora prima a Nipozzano e poi nelle altre tenute, ottenendo un miglioramento sensibile della qualità delle uve e dei vini. Un percorso che ha portato la superficie vitata complessiva nelle attuali nove tenute di Marchesi Frescobaldi a circa 1.600 ettari, tutti in Toscana, che producono oggi oltre 10 milioni di bottiglie. Si tratta di Castello Pomino (Pomino) e Castello Nipozzano (Chianti Rufina), Tenuta Perano (Chianti Classico), Tenuta Castiglioni (Chianti), Rèmole (Sieci), Tenuta CastelGiocondo (Montalcino), Tenuta Ammiraglia (Maremma), Tenuta Calimaia (Montepulciano) e Gorgona (sull’isola di fronte a Livorno). Situate in zone particolarmente vocate alla produzione di vini pregiati, le tenute differiscono per terreno, ambiente e storia.
«La nostra filosofia», spiega Lamberto, «è sempre stata quella di scopritori di territori vocati, rigorosamente nella nostra regione. È così che un paio di anni fa abbiamo comprato a Montepulciano, zona Cervognano, uno dei cru del Vino Nobile. E prima ancora l’azienda Perano a Gaiole in Chianti e Poggio Verrano in Maremma. Del resto, il nostro obiettivo è esaltare l’unicità dei territori, perché penso che scoprire l’anima di un territorio sia la cosa più bella del mondo».


Le persone che hanno fatto la storia
A contribuire alla svolta che ha portato in questi decenni Marchesi Frescobaldi a diventare un’azienda di livello internazionale sono stati vari personaggi, sia all’interno della famiglia che nella cerchia dei loro più stretti collaboratori. Anzitutto il marchese Vittorio insieme con i fratelli Ferdinando e Leonardo, poi il tecnico Luciano Boarino (“una persona fantastica”), Giovanni Geddes da Filicaja, per lungo tempo amministratore delegato, e Nicolò D’Afflitto, da 27 anni l’enologo delle tenute. «Con lui», commenta Lamberto Frescobaldi, «e più di recente con mio cugino Stefano Benini, condividiamo la visione territoriale, il che ci ha portati sempre più a migliorare le cantine delle varie tenute».
I vini icona
Sarebbe troppo lungo citare tutti i vini prodotti; ci concentriamo quindi su quelli che sono giustamente considerati simbolo di Marchesi Frescobaldi. In prima fila il Nipozzano Riserva Chianti Rufina, l’orgoglio della famiglia e l’impegno a produrlo sempre meglio, poi il CastelGiocondo Brunello di Montalcino, altro rosso di grande prestigio di una denominazione conosciuta in tutto il mondo, e infine, un vino di nicchia, il Gorgona, Costa Toscana Igt, entrato nel cuore dei grandi appassionati. Un’icona prodotta in meno di 10 mila bottiglie, che si può trovare nei migliori ristoranti.
«Il vino della tradizione», aggiunge, «è sicuramente il Nipozzano, un’etichetta unica, anche se penso che bisogna avere sempre il coraggio di rinnovarsi. Ci sono oggi, infatti, vini che rivestono un ruolo importante nel mondo e che sono tutto sommato recenti, come i nostri Alìe, un rosé della Tenuta Ammiraglia in Maremma, e Luce, che hanno un successo eccezionale, e gli stessi Ornellaia e Masseto (dalle altre aziende di proprietà della famiglia, ndr). Infatti, bisogna considerare che ci sono sempre giovani clienti, talvolta più curiosi dei precedenti. Anche la ristorazione è cambiata, il consumo è più moderato e consapevole e la gente vuole sapere da dove viene ciò che beve».
Foto di apertura: le vigne ad anfiteatro di Tenuta Perano nel Chianti Classico, acquisita dalla nobile famiglia nel 2018
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