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Georgia: il nuovo corso della culla dell’enologia

Georgia: il nuovo corso della culla dell’enologia

Che la Georgia sia il Paese al mondo dove si fa il vino dai tempi più remoti non è più una notizia: risale ormai al novembre scorso, infatti, il ritrovamento a Gadachrili Gora, villaggio neolitico della regione di Kvemo Kartli a una trentina di km dalla capitale Tbilisi, di terracotte decorate con grappoli d’uva e di grandi anfore interrate, oltre a polline di vite che le analisi al carbonio 14 hanno fatto risalire al VII millennio a.C. Insomma, che gli antichissimi georgiani vinificassero si sapeva, ma ora ne abbiamo anche le prove archeologiche.

I vini della Georgia piacciono all’Europa occidentale

Nemmeno che la Georgia moderna sia una produttrice di vino è però una novità, perché pure questo era risaputo. La novità è casomai che il vino georgiano comincia ad avere un flusso stabile di esportazioni in Europa occidentale e che anche in Italia alcuni produttori caucasici, sulle ali del successo degli orange wines (che proprio in Georgia sono nati), si stanno assicurando piccoli ma solidi caposaldi commerciali.

Un Paese da comprendere

Per capire bene cosa sta succedendo in quelle vigne bisogna dunque prima fare i conti col passato recente di un Paese politicamente turbolento e ubicato in un’area altamente instabile come il Caucaso postsovietico. Poi prendere atto dello spontaneismo di cui gran parte del settore vinicolo, come del resto gran parte dell’economia locale, è al tempo stesso vittima e beneficiario. Quindi occorre dare un’occhiata ai numeri. E infine scambiare due parole con qualche produttore “illuminato”. Dove per illuminato si deve intendere una via di mezzo tra intraprendente e lungimirante.

L’80% vola nei Paesi ex Urss

Dei circa 100 milioni di litri di vino prodotti nel 2016 la Georgia ne ha infatti esportati 125 milioni di bottiglie, con un aumento del +38% sul 2015 (+47,5 milioni di pezzi), per un valore attorno ai 114 milioni di dollari. Quasi 40 milioni di quelle bottiglie sono finite però sui tradizionali mercati “affini” dei Paesi dell’ex Urss (e oltre 27 milioni di pezzi, ovvero il +49% sul 2015, nella sola amica/nemica Russia, dato salito a 33 milioni nei primi nove mesi del 2017). Il resto è andato in Cina (5,3 milioni, pari a un +98%) o in Polonia (2,3 milioni, pari a +46%), mentre appena 2 milioni e spiccioli sono approdati in una trentina di Paesi del resto del mondo.

Sui nuovi mercati la nicchia degli orange wines

Per esplicita ammissione della Georgian Wine Agency, del resto, i “nuovi mercati strategici” segnano infatti sì buoni incrementi percentuali, ma volumi ancora molto modesti: +19% per gli Usa, +28% per la Gran Bretagna, +15% per il Giappone (dati 2016). L’approdo sulle piazze occidentali è legato infatti principalmente alle produzioni “orange” di nicchia. L’aumento per valore dell’export georgiano vinicolo totale è stato comunque, sempre nel 2016, del +16%.

Il forte vincolo con la Russia

Poco meno dei due terzi della produzione nazionale è andata invece ad alimentare il mercato interno, relativamente vivace nelle principali città tanto sul fronte del consumo domestico che in horeca. Interessante, per comprendere le dinamiche commerciali del vino georgiano e i suoi legami con i fenomeni economici tanto globali quanto regionali, la lettura della curva delle esportazioni dal 2005 ad oggi. Da cui è facile desumere la forte dipendenza che tuttora unisce la Georgia del vino al mondo russo.

L’export di vino georgiano dal 2005 a oggi

Con il bando dei vini georgiani sancito dal governo di Putin nel 2006, le esportazioni subirono un crollo dagli 80 milioni di bottiglie (e 80 milioni di dollari di valore) ai 30 milioni del 2007 (con un valore di circa 30 milioni di dollari), per poi risalire lentamente a partire dal 2011 e toccare un nuovo picco (185 milioni di bottiglie, pari a 185 milioni di dollari) nel 2014, proprio in corrispondenza delle sanzioni Ue alla Russia e delle relative controsanzioni. Nel 2016 il dato si è fermato a 125 milioni di bottiglie esportate, per un valore di 114 milioni di dollari.

Rincorrendo il modello occidentale

Da questo quadro oscillante e dalle aspettative economiche che il Paese ripone nel blocco eurocomunitario nascono le principali tendenze odierne del mondo vinicolo georgiano, che sembra fare il possibile per omologarsi velocemente, o almeno adeguarsi, al modello occidentale. Tanto in prospettiva esterna, sul piano della produzione, delle tipologie e degli standard qualitativi del prodotto quanto in quella interna, sul piano dei servizi, ove è evidente la convergenza di strategie tra settore vinicolo, ristorazione e comparto turistico-ricettivo.

La risorsa dell’enoturismo in Georgia

«Il fermento dell’enoturismo come modello di business sta attraversando da qualche anno tutta la Georgia del vino», spiega il giovane Tsotne Japaridze, fondatore e manager della Trac Travel, compagnia specializzata nell’organizzazione di wine tour individuali e per piccoli gruppi. «Non sono poche le grandi compagnie che hanno già attrezzato le loro Cantine per offrire ai visitatori l’opportunità di degustazioni, esperienze enogastronomiche e di intrattenimento “tipico”».

C’è chi improvvisa (e chi trova la formula giusta)

«Anche i piccoli produttori più evoluti», prosegue Japaridze, «quelli che hanno già rapporti commerciali con l’Occidente, si sono a loro volta organizzati per l’accoglienza con punti di vendita diretta e ristoranti agrituristici, spesso tagliati sul modello anglosassone». Naturalmente non è tutto oro ciò che luccica. E all’entusiasmo dettato dall’intraprendenza dei singoli fanno talvolta riscontro ingenuità e notevole improvvisazione. Non mancano tuttavia neppure i casi di successo.

L’articolo completo è su Civiltà del bere 1/2018. Per continuare a leggere acquista il numero (anche in formato digitale) sul nostro store o scrivi a store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 22/02/2018

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